L’itinerario, che prosegue attraverso i carruggi del borgo, conduce all’antico essiccatoio, in dialetto chiamato “U Canissu”, oggi utilizzato dall’azienda agrituristica Cioi Longhi.

L’essiccazione delle castagne era una pratica contadina resasi necessaria allo scopo di garantire l’uso alimentare del frutto anche in altri periodi dell’anno, soprattutto in momenti durante i quali scarseggiavano le risorse della terra.

Un essiccatoio tipico presentava una struttura a due piani, in muratura con tetto in lastre di pietra (ciappe): in quello inferiore, a volte addossato ad un terrapieno, veniva acceso il focolaio al centro della stanza, da cui saliva il fumo che filtrava tra i listelli di legno, poggiati su di un travetto in castagno: sui listelli erano distese le castagne.
Al piano superiore si entrava o tramite una porta con accesso da scala esterna, oppure tramite una botola nei listelli, mediante una scala movibile in legno.

Le castagne, spesso in grandi quantità, una volta raccolte, erano sistemate su di un solaio di listelli in legno, chiamato canissu, dove venivano essiccate con un fuoco molto lento, per ottenere le “castagne bianche”.

L’essiccazione si manteneva notte e dì, per parecchi giorni, sopra un fuoco, assai fumoso, alimentato da legna spesso anch’essa di castagno. Quando le castagne erano ritenute secche al punto giusto, esse erano battute e ripulite.

L’essiccatoio era luogo di incontro tra amici e parenti, durante le sere d’autunno, quando ci si raccontava leggende o favole antiche, o ancora si narravano fatti veri accaduti in paese; davanti ad un fiasco di vino ed a tante caldarroste, con le dita sporche di cenere, nel naso e sui vestiti l’odore del fumo persistente.